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(Intervista rilasciata alla giornalista Cristina Scevola in data 27/04/2020 per francofonte.italiani.it riportata integralmente)

Un supporto gratuito a distanza per coloro che soffrono di disturbi alimentari durante l’emergenza Coronavirus. Ne abbiamo parlato con il dott. Bruno Riscica, psicologo, che ci ha raccontato dell’iniziativa lanciata dai centri Ananke.

Allora, parlami dell’iniziativa di sostegno per quanti soffrono di disturbi alimentari…

“La rete nazionale dei centri per la cura dei disturbi alimentari “Ananke”, da un paio di settimane ha attivato, con l’aiuto dei suoi professionisti, un servizio di supporto gratuito a distanza attraverso l’utilizzo di videochiamate o semplicemente telefonico. È attivo un numero del servizio centrale che è possibile chiamare per avere maggiori informazioni a riguardo; oppure visitando il sito www.curadisturbialimentari.it è possibile trovare tutti i centri di riferimento e i contatti telefonici e mail. Noi in Sicilia ne abbiamo 4, Catania, Palermo, Siracusa e Gela”.

Quando nasce la rete territoriale?

“Nasce due anni fa da un’idea del dott. Leonardo Mendolicchio, Psichiatra e Psicoanalista, di proporre il modello di cura di Villa Miralago a livello territoriale su tutta la nazione. Mendolicchio è il Direttore sanitario di questa residenza sanitaria comunitaria, la più grande d’Italia, che da più di dieci anni si prende cura di coloro che soffrono di disturbi del comportamento alimentare, un centro convenzionato con SSN. Le nostre equipe sono multidisciplinari; composte da professioni esperti nel campo dell’ alimentazione, così da permettere ai pazienti di intraprendere un percorso prioritario per il ricovero o di continuare le cure nei loro territori dopo la dimissione da Villa Miralago”.

Disturbi alimentari Team Ananke

“L’equipe di Catania, ad esempio, è composta da me, Psicologo; dalla dott.ssa Tiziana Lo Castro, Psicologa-Psicoterapeuta; e il dott. Vincenzo Bonaccorsi, responsabile del centro e Biologo specialista in Scienze dell’Alimentazione. In più ci avvaliamo di un gruppo di esperti esterni (psichiatri, endocrinologi, etc.) con i quali collaboriamo per dare un servizio completo al paziente”.

A chi si rivolge?

“Esso è rivolto a tutte le persone che soffrono di disturbi alimentari e, nello specifico questa iniziativa, a tutte le persone che non riescono ad accedere ai propri servizi di sostegno psicologico-psichiatrico o specializzati per i disturbi alimentari, a causa dell’emergenza nazionale COVID-19, o che semplicemente stanno vivendo delle difficoltà in questo momento storico particolare e hanno bisogno di capire qualcosa in più sul loro stato emotivo o comportamentale che riconoscono essere differente rispetto al solito, magari agendo appunto sul piano alimentare”.

In che cosa consiste il supporto che offrite?

“Il supporto è gratuito e si compone di 2-3 contatti telefonici/telematici, per accogliere le difficoltà che la persona sta incontrando in questo periodo e, attraverso questo conforto/confronto, permettere al soggetto di comprendere di quale aiuto necessita al momento, indirizzandolo, se necessario, al percorso sanitario più appropriato”.

Quali numeri e in quali giorni è possibile contattare gli esperti?

“Per contattarci è possibile utilizzare il numero nazionale 02.8355 0840 o quello locale di Catania 349.1298277 nei giorni feriali, oppure gli indirizzi mail info@curadisturbialimentari.it o catania@curadisturbialimentari.it“.

Chi colpiscono i disturbi alimentari?

“Innanzitutto è necessario, quantomeno, indicare quali sono le patologie principali anche se abbastanza conosciute, facendo riferimento alle categorie nosografiche descritte nel DSM-5 (2013), e cioè Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata o binge-eating disorder (BED). Accenno solo che quest’ultimo è fra le maggiori cause dell’Obesità (ma ne parliamo più avanti) e non entro nel dettaglio di ognuno, poiché basta fare una semplice ricerca su internet per conoscere le sintomatologie”.

Quali altre tipologie di disturbi alimentari meno conosciuti esistono?

“Vorrei porre l’attenzione su un altro disturbo meno conosciuto, che possiamo correlare all’alimentazione ma non menzionato fra i DAN ma all’interno dello spettro dei Disturbi Ossessivo-Compulsivi nel DSM-5, cioè la Vigoressia o Anoressia Riversa, che è caratterizzata da una eccessiva ossessione per il fisico perfetto, con restrizioni alimentari e assunzione di alimenti specifici come proteine in eccessive quantità, di integratori e anabolizzanti, eccessiva attività sportiva, soprattutto in palestra”.

Disturbi alimentari Coltello E Forchetta

“Dai dati del Ministero della Sanità, in Italia sono circa 3 milioni di persone affette da anoressia e bulimia, di cui circa il 95% donne; a mio avviso, sono dati da prendere con le pinze, poiché resta abbastanza sommerso il numero dei casi degli altri disturbi dell’alimentazione e, negli ultimi anni, emerge un numero sempre maggiore di uomini in questa casistica. L’età d’esordio è in genere fra i 15 e i 24 anni, ma alcuni studi dimostrano che, purtroppo, si sta abbassando fino a raggiungere i bambini di 8-11 anni, ma anche innalzando fino a colpire anche soggetti di età fino ai 50 anni”.

“Alcuni studi indicano un aumento di questi disturbi negli ultimi due decenni che, tuttavia, non è confermato da sufficiente evidenza poiché mancano, in particolare, studi prospettici, vi sono differenze nelle procedure di accertamento diagnostico, differenze nei sistemi di classificazioni adottati, aumento nel tempo del ricorso ai servizi e alle cure, diversa capacità di attrazione dei servizi, la disomogeneità dei disegni dei diversi studi; inoltre, la maggior parte degli studi comprende campioni clinici e perciò potrebbero risentire di distorsione da selezione”.

Quali possono essere le cause scatenanti dei disturbi alimentari?

“Attualmente gli studiosi sono concordi nel ritenere il modello multifattoriale il più adatto a spiegare l’insorgenza dei disturbi dell’alimentazione. Questo modello spiega l’insorgenza e il permanere del disturbo attraverso 3 tipi di fattori di rischio che agiscono in modo consecutivo”.

“I primi fattori di rischio sono i fattori predisponenti, ossia tutti quei fattori che possono essere genetici, psicologici o ambientali, che aumentano la vulnerabilità di una persona a sviluppare il disturbo dell’alimentazione. Nell’eziologia dei disturbi dell’alimentazione intervengono anche alcune caratteristiche di personalità (perfezionismo, impulsività, bisogno di controllo), la bassa autostima e lo stare frequentemente “a dieta” sono elementi di vulnerabilità, e fattori socioculturali come l’ideale di magrezza sviluppatosi negli ultimi 50 anni nei Paesi occidentali”.

“I secondi fattori sono i fattori precipitanti, che consistono in eventi o situazioni che scatenano l’insorgenza del disturbo. Questi possono essere costituiti da lutti, aggressioni, separazioni da persone care, ma anche da eventi apparentemente non gravi come un fallimento scolastico, un cambio di scuola o essere presi in giro per il proprio aspetto”.

“Infine, ci sono i cosiddetti fattori di mantenimento, ossia tutti quei fattori che impediscono il ritorno alla normalità. Questi sono i fattori sia psicologici che fisici che ambientali, che costituiscono quel ‘circolo vizioso’ di mantenimento della malattia che deve essere affrontato con le terapie specifiche per il disturbo. Per semplificare, non c’è quindi un singolo fattore scatenante, ma una serie di variabili che possono indurre al possibile scatenamento; che varia da caso a caso; da persona a persona”.

Disturbi alimentari Cucinare

Cosa significa lavorare con un paziente DAN?

“Lavorare con un paziente DAN, significa iniziare sempre un percorso nuovo, nonostante il sintomo identificabile in una delle categorie diagnostiche (quali anoressia, bulimia o binge-eating), i soggetti sono tutti diversi, non si può ridurre l’individuo al proprio sintomo, occorre un’attenta e profonda analisi per ottenere risultati dal trattamento”.

Come possiamo riconoscere un disturbo dell’alimentazione?

“Il primo riconoscimento di questi disturbi, molto spesso non viene dal soggetto stesso, ma viene dalla famiglia. Ma non dimentichiamoci che, essendo l’insorgenza maggiormente nell’età dello sviluppo, un ottimo aiuto nel riconoscimento può provenire dalle istituzioni scolastiche o da pediatri e medici di famiglia, per questo è importantissimo fare prevenzione”.

Quali sono i principali sintomi dei disturbi alimentari?

“Di seguito, ecco alcune problematiche comuni ai DAN e come riconoscerle anche per i non addetti ai lavori:

la restrizione alimentare, che si può presentare come mettersi a dieta, eliminare determinati cibi e gruppi alimentari, saltare i pasti, mangiare cibi molto ricchi di fibre, calcolare le calorie degli alimenti, bere grandi quantità di liquidi e bibite dietetiche, modificare lo stile alimentare passando a diete vegane o vegetariane o escludere completamente dei cibi, quali dolci o carboidrati;

l’esercizio fisico eccessivo, cioè praticare sport oltre a quello richiesto dall’allenatore, fare molto movimento allo scopo di perdere peso;

gli episodi di abbuffata, cioè l’assunzione di grandi quantità di cibo associata alla sensazione di perdita di controllo nei confronti dell’alimentazione; questi episodi vengono vissuti per lo più in solitudine, mangiando di nascosto e con un forte senso di colpa e di fallimento. Gli episodi di abbuffata spesso si verificano dopo periodi più o meno lunghi di restrizione alimentare o in risposta a stati di sofferenza emotiva;

il vomito autoindotto, che viene utilizzato per eliminare il cibo assunto nelle abbuffate o per eliminare pasti normali che vengono soggettivamente considerati eccessivi;

la preoccupazione per l’immagine corporea che si esprime perlopiù come desiderio di magrezza e controllo frequente del peso e della forma del corpo;

la presenza di evidenti cambiamenti emotivi, come depressione dell’umore, tristezza, rabbia, ma anche isolamento sociale, ossessioni, stati ansiosi e altri disturbi emotivi e psicologici che possono accompagnare i sintomi sopra descritti e spesso sono accentuati dallo stato di malnutrizione”.

Quali altri episodi si osservano nei disturbi alimentari?

“Inoltre, nei disturbi dell’alimentazione gravi e di lunga durata si osservano notevoli difficoltà interpersonali, scolastiche e lavorative ed è frequente l’associazione di altre patologie psichiatriche. Infine, voglio sempre ricordare che, per quanto sia giusto conoscere e saper riconoscere questi sintomi, si tratta solo di un modo per fare prevenzione, per permettere ai familiari di accedere tempestivamente alle cure appropriate e far si che non si instauri il sintomo. Per fare diagnosi, però, è sempre necessario avvalersi della professionalità degli esperti del settore e dei consigli del proprio Medico di Famiglia. Lasciamo a Dr. Google la sola funzione di strumento di conoscenza”.

Disturbi alimentari Bruno Riscica

Quindi in tutti questi casi si può parlare di disturbi alimentari?

“Non del tutto, è giusto ribadire il concetto che non si parla sempre di DAN ma ci si può trovare in una situazione momentanea di iper o ipo-alimentazione, oppure il volere avvalersi di una dieta per dimagrire qualche chiletto di troppo, e questo non è preoccupante. Tutti gli aspetti spiegati prima devono proprio risultare visivamente eccessivi, con ideazioni e comportamenti ossessivi e reiterati nel tempo, per considerarli un problema. È vero che subiamo l’influsso socioculturale nella regolazione della nostra alimentazione, e spesso soffriamo anche in riferimento alla nostra immagine, sull’apparenza del nostro fisico, con estremismi che passano da un polo all’altro, così come è vero che, per citare il titolo di un libro del dott. Mendolicchio del 2017, “Bisogna pur mangiare”(che invito a leggere), ma può risultare spesso difficile per il soggetto regolarsi quando ci sono in gioco aspetti che vanno al di là della sola questione nutritiva del cibo”.

Come viene percepito il cibo dall’uomo?

“Il cibo per l’uomo è multidimensionale, non è solo nutrimento: vi è una dimensione affettivo-relazionale, ricordiamo che uno dei primi contatti che un bambino ha con il mondo e con l’Altro materno è appunto l’allattamento, ha a che fare quindi con il cibo; vi è una dimensione socio-culturale, la convivialità dei pasti che si condividono con gli altri, passando dalla famiglia alla scuola alle amicizie; vi è anche una dimensione di godimento, data dal cibo stesso per questioni chimico-biologiche; ha quindi una dimensione di corpo, anche attraverso l’immagine”.

“D’altro canto troviamo anche lati negativi, tanto per comprendere un po’ meglio: nella nostra società occidentale, ultimamente stanno andando in voga i locali all-you-can-eat, che sicuramente ci ricordano molto le abbuffate sopracitate, ma è anche vero che il sintomo alimentare è ben diverso; così come alcuni youtubers che si esibiscono in diretta video mentre mangiano una quantità di cibo esagerato, che di sicuro non sono un bell’esempio per chi li segue, la tendenza all’emulazione potrebbe anche risultare facile. Così come, al polo opposto, sul web esistono gruppi social e siti pro-anoressia (nervosa o vigoressia), l’ideale del fisico perfetto portato all’estremo”.

Come sta agendo la società verso le problematiche legate ai disturbi alimentari?

“Al contrario e per fortuna, in questi ultimi anni, i disturbi dell’alimentazione sono stati pubblicamente riconosciuti come un problema sociale molto serio; difatti alcuni provvedimenti sono stati presi come la limitazione di questi effetti sull’immagine anche da alcune società di moda, di cui non farò il nome, che hanno scelto di non avvalersi di modelle dal fisico sotto un certo peso, o campagne di sensibilizzazione e prevenzione”.

Il cibo può essere usato come fonte di appagamento e per “riempirsi”di vuoti affettivi esterni?

“È una domanda più che azzeccata, ma ha bisogno di un approfondimento. Quando parliamo di alimentazione viene in automatico da pensare al cibo, ma viene da pensare anche al piacere che da’ mangiare alcuni cibi che preferiamo maggiormente e, come abbiamo detto precedentemente, alla dimensione affettivo-relazionale; ma fino ad ora, abbiamo trattato questi sintomi da un punto di vista più medico/psichiatrico, che però mettono in risalto piùla dimensione di disturbo e disfunzione, facendo intendere che il lavoro clinico in questo campo debba avere un’azione programmata a normalizzare le condotte e le cognizioni disturbate”.

La psicoanalisi come interpreta i disturbi alimentari?

“Proviamo a cogliere un altro punto di vista, guardando il sintomo come una sorta di “protezione” soggettiva contro l’angoscia. Facendo riferimento alla psicoanalisi, essa inquadra una manifestazione sintomatica come un tentativo di trattamento, come una auto-soluzione, che il soggetto incontra sulla sua strada, per far fronte a qualcosa di insopportabile che attraversa la sua esistenza”.

“Una sorta di auto-terapia inconscia, una risposta agita e sistematizzata che il soggetto produce per dare risposta all’angoscia. Il sintomo, quindi, si focalizza su un oggetto particolare, una situazione o una sostanza, in maniera singolare, uno per uno, con la quale si cerca di tenere a distanza ciò che fa paura, arrivando a portare all’estremo il proprio corpo pur di non avere a che fare con l’angoscia (Cosenza, 2018)”.

“Un altro punto importante va contestualizzato nella nozione di mancanza: Freud parlava di oggetto perduto da sempre, un bisogno che deve essere colmato e consiste in qualcosa che non si è mai avuto, che successivamente Lacan riproporrà come oggetto causa del desiderio, cioè quella mancanza che mette in moto un desiderio. Facendo un piccolo esempio, eseguendo una digressione alla situazione attuale, notiamo che per la maggior parte delle persone, solo adesso che siamo in quarantena privati, mancanti, della libertà, ne riconosciamo il valore”.

“Al giorno d’oggi siamo “privati della mancanza”, siamo abituati ad avere tutto e subito, come la conoscenza a portata di mano grazie agli smartphone; siamo raggiungibili e possiamo raggiungere chiunque in qualsiasi momento, anche visivamente; ed è possibile viaggiare in tutto il mondo in poche ore. Sono ridotti i tempi di attesa per molte cose e si sono accorciate le distanze nelle nostre vite. E facciamo fatica ad accettare la situazione contraria. Non ci siamo più abituati”.

Quanto ha influito il progresso?

“Il progresso, il capitalismo, ha permesso un appiattimento di quella funzione desiderante accennata sopra, in favore del godimento sfrenato, attraverso l’illusione di trovare soddisfacimento del vuoto, della mancanza, in una serie infinita di oggetti da comprare o da mangiare. Nella società contemporanea, infatti, l’offerta di cibo è abbondante e sempre disponibile e ciò fa si che il cibo acquisisca quella funzione di tappo per otturare il vuoto, la mancanza”.

“Per rispondere alla domanda, infine, torniamo sul piano affettivo-relazionale, perché c’è qualcos’altro che va al di là della fame; ed ha a che fare con il rapporto con l’Altro, un altro da sé che in questo caso è l’Altro materno. Freud (1905) fa riferimento a questa dimensione relazionale nel rapporto col cibo, inquadrandola già nell’atto del bambino di succhiare il seno; troviamo in esso l’appagamento di un bisogno, la soddisfazione di un piacere, la messa in gioco della relazione con la madre, la domanda del bambino alla madre e, per ultimo, la risposta della madre che nutre il bambino”.

“Questa risposta fa segno nel bambino, restituendo un senso alla sua richiesta, segno che successivamente implicherà l’instaurarsi dei successivi legami affettivi e relazionali. Possiamo, in questo modo, correlare quindi il “concetto” di cibo con i legami affettivi, e il senso di vuoto affettivo che, per alcuni soggetti, il cibo può colmare.

Al contrario, il cibo si può usare come mezzo per farsi del male?

“Risponderei si, ma bisogna precisare di che tipo di male si tratta. Può risultare semplice pensare a una persona che, in momento di sconforto, si rifugia nel cibo; esempio classico, nelle commedie americane si vede sempre la scena tipica in cui il protagonista di una disavventura amorosa si rifugia nel barattolone di gelato”.

“Le complicanze mediche dei disturbi dell’alimentazione, in particolare dell’anoressia nervosa e del binge-eating associato a obesità, sono relativamente frequenti e possono interessare tutti gli organi e apparati, soprattutto nei casi di malnutrizione accentuata per difetto o eccesso. Per ogni DAN, però, il male prende un peso specifico diverso sia per questioni fisiche, sia di senso”.

“Possiamo nominare i sensi di colpa, ad esempio, preponderanti nella bulimia, che sopraggiungono subito dopo un episodio di abbuffata, seguiti poi da una condotta di eliminazione; il soggetto, pur essendo consapevole delle conseguenze che porta l’abbuffata, non riesce a fare a meno di reiterare il comportamento”.

“Nel binge-eating abbiamo lo stesso effetto, ma in assenza di sensi di colpa e di condotte di eliminazione; anche quando cominciano ad accusare tutte le patologie fisiche e cliniche che l’obesità porta, il soggetto non ne può fare a meno”.

“Anche nell’anoressia il meccanismo è molto simile. Chi soffre di questa patologia, al contrario di come può sembrare dall’esterno, ha molta fame, ne ha tantissima;, ma l’ossessione di dover controllare questo istinto li porta al punto di rifiutare il cibo, di nutrirsi del “niente”, arrivando a far sparire il corpo. Quindi sì, possiamo dire che si fanno del male come conseguenza; ma non è tanto il cibo in sé il mezzo, ma il nutrimento nella sua complessità”.

Disturbi alimentari Spesa

Durante l’emergenza coronavirus sui social hanno spopolato foto di piatti e prelibatezze di vario tipo: come mai questa necessità di rifugiarsi nella cucina?

“La cucina è da sempre un luogo ancestrale, il luogo che generalmente ricorda i momenti di convivialità e di affetto legato alla preparazione di pranzi e cene, di protezione, di felicità infantile e familiarità, condiviso con i genitori o i nonni. Culturalmente abbiamo in noi radicato la fase di preparazione dei cibi e condivisione dei pasti con i nostri cari con amore e per amore, soprattutto nei paesi e nelle piccole città, dove le distanze sono più corte e la vita si svolge meno frenetica e ci si può dedicare di più alla cucina”.

Quali altre spiegazioni possono essere legate alla necessità di rifugiarsi nella cucina in questo periodo?

“Altre motivazioni sono sicuramente dovuta alla distrazione. Cucinare impegna del temp; ci si può dedicare a cucinare qualcosa che si è voluto sempre fare ma si rimandava per “mancanza di tempo”. Adesso tempo ne abbiamo in abbondanza e, per fortuna, il cibo non manca. Per ultima, ricordiamo anche tutti i rinomati programmi di cucina che vanno in voga al momento come Masterchef, fanno della cucina una competizione. Questa considerazione ci immette in un discorso che fa riferimento al piano sociale più che quello individuale, ma è comunque importante per rispondere alla domanda”.

Da questo punto di vista, cosa ha scaturito l’uso dei social?

“L’utilizzo dei social media in questo senso, ha favorito la competizione anche nel campo della cucina: “guarda cosa ho cucinato”; “come è venuto bello il mio piatto”; “chissà come sarà buono quello che hai preparato”; “io riesco a farlo meglio”; “il mio è più buono”;“questo ristorante fa dei piatti bellissimi”; e così via; frasi tipiche di post su facebook che generalmente abbiamo letto negli ultimi anni, che adesso si sono spostate esclusivamente nelle nostre cucine di casa. Tutto questo ha sempre a che fare con la relazione con l’Altro, con l’oggetto sguardo e l’immagine; ma si gioca tutto sul piano sociale e la competizione”.

Cosa diventa il cibo per chi è costretto a rimanere a casa a causa della pandemia?

“Adesso che ci troviamo isolati a casa, è difficile comprare oggetti, non si può più fare shopping perché i centri commerciali sono chiusi; quindi l’oggetto che ci aiuta a colmare la mancanza diventa, appunto, il cibo. Quest’ultimo ha sempre la sua funzione che aiuta a placare le preoccupazioni, Diventa quindi per molti un catabolizzatore di ansie e frustrazioni, sia per chi lo mangia, sia per chi lo cucina. Perché, appunto, ricorda quel senso di protezione e di famiglia”.

Durante questa pandemia abbiamo assistito a scene di supermercati presi d’assalto: da cosa sono state scatenate queste reazioni?

“Sicuramente è un momento storico difficile. Si è vissuta la paura per il nuovo, perché non siamo abituati a queste modifiche radicali nelle nostre vite e non sappiamo come affrontarle. Il timore dell’incertezza che è derivata anche dall’effetto mediatico, ci ha catapultato in tutti gli scenari apocalittici possibili che forse abbiamo visto solo nei film. Tanto per fare una citazione biblica, i quattro cavalieri dell’apocalisse li abbiamo visti tutti immaginariamente; la Pestilenza ha portato la Morte e si combatte una Guerra contro questo virus; non rimaneva che la Carestia”.

“La preoccupazione di non trovare tutte le comodità che la società moderna ci permette di avere sempre a portata di negozio, ha condotto tutti noi ad affollare i supermercati. Si è comprato il più possibile per evitare di rimane con la mancanza di quell’oggetto o quell’altro. A nulla sono valse le rassicurazioni istituzionali che i rifornimenti ci sarebbero sempre stati. E solo dopo qualche tempo si è potuto comprendere che fosse effettivamente così”.

In che modo è possibile ritrovare un giusto rapporto con il cibo durante questa pandemia?

“Innanzitutto dovremmo discriminare qual è il giusto cibo e poi trovarne il giusto rapporto. A tal proposito, poche settimane fa è stata condotta poche settimane fa una ricerca sui cambiamenti delle abitudini alimentari e dello stile di vita da un team composto dagli specialisti di Villa Miralago in collaborazione con il Politecnico di Milano, alla quale hanno collaborato tutti i centri Ananke d’Italia. Dai risultati primi risultati è confermato ciò che ci si aspettava, cioè che si dorme male; si mangia più spesso e si fa molta meno attività fisica. E tutti e tre gli aspetti sono correlati all’alimentazione”.

Quali sono i dati in merito durante questa fase di pandemia?

“Il Ministero della Sanità ha dato dei consigli anche sui cambiamenti da effettuare ai regimi alimentari. Dai risultati emerge che il 54% non ha modificato il proprio apporto calorico; il 33% lo ha addirittura aumentato; soltanto il 10% ha cercato informazioni sull’alimentazione consigliata per affrontare il contagio e la sedentarietà. Infatti, il 27% lamenta di avere sentito più appetito; il 60% ammette di avere ceduto per gola-noia-nervosismo, dando la colpa anche all’ansia e all’emotività. Anche se si preferiscono cibi freschi a quelli confezionati, l’apporto calorico rimane lo stesso”.

“D’altro canto, la chiusura delle palestre, la ridotta possibilità di movimento in strada, anche solo per fare una passeggiata o per andare a lavoro, non permette di smaltire quelle calorie che ci servivano per affrontare le giornate; da questo motivo, la necessità di ridurre la quantità dei nostri pasti. Inoltre, il 60% circa non ha usato il proprio tempo libero per fare sport anche in casa; ma si è dedicato ai fornelli, appunto per confermare quanto dicevamo prima”.

“Infine, tutto questo, causa dei cambiamenti ai ritmi circadiani, con difficoltà ad addormentarsi o a svegliarsi presto e rispettare il normale ritmo di vita”.

Come bisogna reagire contro la fame nervosa che si fa sentire specie in questo periodo durante il quale siamo costretti a casa?

“Bisognerebbe distrarsi dai fornelli e dagli sportelli della cucina, cercando di convogliare le energie in qualcosa di utile; artistico; divertente; di socialità; che coinvolga gli altri membri della famiglia. Per chi è solo in casa, può utilizzare i mezzi informatici per comunicare; o parlare con i vicini a giusta distanza di sicurezza. Esistono sui canali video web, molti tutorial che possono aiutarci a fare esercizi semplici a corpo libero, meditazione, yoga, training autogeno; oppure contattare i nostri personal trainer e farci dare dei consigli per l’attività fisica”.

“Non dobbiamo sentirci obbligati a modificare le nostre abitudini perché qualcuno o la società ce lo impone; ma cercare la volontà di cambiamento e di rinnovamento guardando al futuro, poiché prima o poi dovremo ricominciare e dobbiamo farci trovare pronti”.

Perchè non bisogna mai agire da soli, ma invece è opportuno chiedere aiuto a un esperto?

“Vorrei porre l’accento nuovamente sulla professionalità quando scegliamo di fare qualsiasi percorso che coinvolga il nostro essere, corpo e mente. Ad esempio, se abbiamo bisogno di una alimentazione per sciogliere quel chiletto in più accumulato in questi mesi, rivolgiamoci a un nutrizionista o dietologo; non a internet, non a fantastici integratori dimagranti pubblicizzati qua e là”.

“Ricordiamo che le diete lampo non esistono; se ci sentiamo tristi, in ansia o non riusciamo a dormire, contattiamo uno psicologo, non rifugiamoci nei farmaci, la famosa pillolina per dormire. Ci sono molti colleghi che offrono la loro professionalità gratuitamente in questo periodo di emergenza, venendo incontro ai bisogni dei cittadini. Non facciamo da soli, non siamo soli. Chiediamo una mano e facciamolo con un esperto!”


Salvatore Bruno Riscica

Psicologo | Mediatore Familiare

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